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La poetica del Disincanto
Scritto da Mariapia Ciaghi   
Venerdì 13 Marzo 2009 01:00

Intervista a Matteo Tuveri*
La poetica del Disincanto
A Madonna di Campiglio rievocata la figura di Sissi durante le celebrazioni del Carnevale Asburgico

Elisabetta d’Austria viene rivisitata, rivista e riconfermata come donna del secolo. Le considerazioni dello scrittore e saggista Matteo Tuveri aprono nuove prospettive critiche su un personaggio tanto amato riscoprendo e valorizzando la figura di una donna che ha saputo, per caso e per volontà, portare l’immortalità alla propria immagine e alla quale Campiglio dedica il suo carnevale.


Durante il Carnevale Asburgico di Madonna di Campiglio lei è stato invitato a  presentare la figura di  Elisabetta d’Austria-Ungheria... 
L’occasione è Sissi, è sempre lei, o quasi, l’occasione dei viaggi, delle conferenze e degli incontri. Ho scritto il mio primo libro su di lei, l’imperatrice infelice e così umana, quando avevo 26-27 anni e ora, a 32 anni, la ritrovo puntualmente a ogni bivio, quasi una predestinazione, anche se non credo all’infinito fuori dall’uomo, credo agli spazi dentro di noi. Sissi è morta 111 anni fa e dal momento in cui ho analizzato le sue poesie, contenute nel diario poetico, ho capito di avere a che fare con un’anima particolare, un elemento storico atipico che si è trovata in totale disallineamento con il suo secolo e che risolveva questo malessere viaggiando, una imperturbabilità negli spostamenti che inquieta, ma che descrive perfettamente un’interiorità così nobile e colta, un vero patrimonio europeo che Émile Michel Cioran ha definito come il momento più alto della malinconia insieme a Brahms. Quindi musica, una pre-ontologia dell’esistenza che la portava all’ironia prima di conoscere, all’ironia dei buffoni di Shakespeare. La sua una lotta e non una semplice azione. Questa mente sviluppava al suo interno un processo creativo che non era lineare e che, come tutte le cose non lineari, mi ha affascinato e reso in qualche modo maggiormente consapevole dell’essere nel mondo come colui che pensa non solo per se stesso, ma anche per la collettività. Sissi insegna anche a essere perfettamente politici, nel senso di polis, di continua tensione al generale, pur rimanendo in questo “vivi appartato” che in momenti come questi, di rifugio nella koinè globale dell’uomo, è inevitabile.
La conferenza su Elisabetta è stata interessante, stimolante parlare, migliorarsi, osservare sguardi interessati, confrontarmi e avere ancora una volta paura, paura di sbagliare le parole, di comunicare troppo e troppo poco, di offendere il soggetto che di volta in volta tratto. La sala Hofer piange per i contorni degli affreschi sbiaditi dal fumo dell’incendio dell’anno precedente e la rappresentazione, tratta dal mio ultimo libro, “Tabularium. Considerazioni su Elisabetta d’Austria” (Aracne Editrice, 2007), tenutasi il giorno successivo alla conferenza e interpretata nei ruoli dei protagonisti da Fabrizio Scaglia (Disincanto) e da Licia Simoni (Elisabetta d’Austria), con la partecipazione del ballerino Tiziano Chistè e dei giovani campigliani nei balli di corte, ha disegnato i limiti, i confini e il promettente futuro di una dimensione più culturale legata a Sissi e agli Asburgo.
Più conferenze in quella sala, va riconsacrata come una chiesa con la potenza delle parole! Spero che le mie possano essere stato un piccolo inizio. Le parole devono rompere il silenzio, devono scuotere, proporre un cambiamento radicale nella forma di un rito che sembri intimo.
Come le è apparsa  Madonna di Campiglio e quali sensazioni le sono rimaste impresse?
Vengo dal mare, da un luogo che si chiama Torregrande, vicino a Oristano, e ritorno sempre al mare, è evidente come la montagna possa essere una pausa intensa e diversa nel mio vissuto. Proprio per questo, a causa della differenza paesaggistica, essa mi attrae, specialmente le altezze vertiginose, l’isolamento della valli e il candore quasi perfido della neve, serpigno direbbe Marianne Moore, una sorta di blocco niveo, un candore che attutisce tutto e troppo. Ho camminato su tante strade, ma tante ne devo ancora percorrere con la forza dei polpacci, come direbbe Simone de Beauvoir, fra la gente, per vedere la gente e per sentirla. Arrivare a Madonna di Campiglio ha comportato un viaggio lungo, un viaggio che è partito dagli studi universitari e che è passato attraverso una tesi di laurea, due libri e numerosi articoli scientifici e divulgativi. Non solo, arrivarci ha assunto il significato della sfida alla vita, del precariato lavorativo, della solitudine politica e della gioia familiare. Campiglio, dunque, è apparsa come un’occasione culturale e umana che mi ha permesso di incontrare persone e cose, luoghi e colori, ma anche odori e sensazioni, che si sono dimostrati il tanto giusto uguali e differenti da me.
Incontrare significa trarre conclusioni, operare una sorta di “recollection” di citazioni, miti, disegni e problemi infiniti che speso si affacciano in noi e che troppo spesso tralasciamo drammaticamente in nome della preoccupazione di turno. Incontrarsi sempre, sempre disillusi e mai rassegnati.
Campiglio, con questa preparazione culturale, assume una posizione diversa, non solo nel processo di fruizione delle sue bellezze, ma anche nella sua georeferenziazione, si sposta da una concezione di limen, di confine di un paese, a una centrale, di località sciistica e montana della Mitteleuropa. In base a questa percezione cambia tutto di essa, principalmente il modo di viverla. La riflessione sulla sua storia, così ben portata avanti da Paolo Luconi Bisti, è per questo molto utile. Ecco perché Campiglio mi appare come fra due mondi, fra la centralità dell’Impero di Francesco Giuseppe e il confine quasi estremo di un paese che affronta uno stallo culturale non dico senza precedenti, ma di sicuro di notevole entità. Una terra di mezzo in cui per eccellenza si assiste all’immota nascita di qualcosa di nuovo.
Per questo ho passeggiato per le strade di Madonna di Campiglio pensando all’Italia e all’impero, con le poesie di Elisabetta d’Austria sotto braccio e le opere di Antonio Gramsci nello zaino, imponendomi una riflessione più ampia di quanto spesso possa permettermi, pressato fra la frenesia di una città come Cagliari e il pensiero lacerante di una Mitteleuropa lontana, così lontana da me che vivo pur sempre nel mezzo di qualcosa, ma nel mezzo del mare (Mediterraneo). Così vicina, tuttavia, da rendermi mitteleuropeo fin nel modo di mangiare, la vera prova, in definitiva, della propria nazionalità.

Lei è un attento osservatore dei fenomeni storici e sociali. Quali sono le sue considerazioni sul turismo di Madonna di Campiglio?
Qui a Campiglio la gente è sostanzialmente sempre la stessa, specialmente in settimana, è abitata da famiglie che vi abitano tutto l’anno e da individui amanti della montagna che arrivano all’inizio della stagione e che non esitano a percorrere anche molti chilometri per ripetere il rito della villeggiatura, un rito molto semplice in realtà, spesso officiato da famiglie patrizie, ma portato avanti con la sobrietà della cultura, con la gioia della tavola apparecchiata, della spesa fatta al supermercato locale o dell’arrivo dei nipoti vocianti e abituati alle sciarpe e ai guanti.
Dal venerdì questa piccola rocca dolomitica, sostanzialmente solcata da due strade, che si esaurisce in due strade intense, si riempie di gente che sale curiosa, snob e pesante di pellicce e attrezzi da neve. È il popolo esterno a Campiglio che di Campiglio non sa molto e che fa parte di un turismo più massiccio e inconsapevole che, pur utile all’economia, rappresenta una fetta d’Italia che anch’essa è frutto di un processo storico interrotto: la mancanza di un’ossatura borghese, già lamentata da Gramsci, di un apparato pienamente consapevole, sia socialmente che economicamente, ha lasciato spazio nel tempo a un limbo socio-culturale in cui la televisione, l’informazione manipolata e massificata, l’istinto di massa e il feticcio dell’ Haute couture, esteso anche alle vacanze, sono diventati di fatto una religione. Questa mancanza sociale, grave per un paese come il nostro,  a Madonna di Campiglio è per certi versi maggiormente evidente, come lo è del resto a Porto Cervo, poiché in questa strada principale del paese, peraltro bellissimo set di belle persone, passano e ripassano, in uno struscio infinito, gli eccelsi rappresentanti del cafon-chic italico, moderni costruttori del dannunzianesimo di ultima maniera, del dialetto a tutti i costi, del “sono meglio io”, della “fabbrichetta über alles” e della filippina sempre appresso per guardare bambini, cani e nonni.
Non solo opificio di cattivo gusto, questo circo eterno dell’Italia “civile”, che invade il bianco di Campiglio, finisce per invadere anche la sacralità della neve e il silenzio artistico della Sala Hofer, dove si spera, un giorno risuonino in quella sala solo Walzer e musiche di montagna, un giorno in cui gli affreschi di Gottfried Hofer vedranno un incisivo restauro.
Nel frattempo che possiamo fare?
Continuiamo la passeggiata per Campiglio e educhiamoci ed educhiamo: educhiamo alla curiosità, alla ricerca, al “perché”, al sorriso, alla posata giusta, alla sobrietà del bon-ton, alla storia e a spengere il televisore. Educhiamoci ed educhiamo alla sobrietà e al politically in-correct, ci conviene, è meglio, per non morire di noia, perché, si sa, la noia è il più terribile dei peccati. Credo che questo primo passo possa essere fatto qui a Campiglio, penso che molto sia già stato fatto, semplicemente, in questa passeggiata intitoliamo a Sissi una piazza, la chiamerei “Piazza dei gabbiani”, per ricordare una sua poesia o solamente per vedere il viso dei turisti mentre si domandano cosa ci facciano i gabbiani sulle montagne.
Recuperiamo le temperie del dubbio e il nero del “duende” che sale dai piedi che si muovono verso l’alto, «un poder y no un obrar, es un luchar y no un pensar» .
Si può fare molto.
*Matteo Tuveri  è laureato in Lingua e Letteratura tedesca e inglese all’Università di Cagliari. Finalista in numerosi concorsi letterari (Premio “Modello Pirandello”, Premio Letterario “L’albero delle Parole” e Premio Letterario “Fonopoli”), si occupa di storia e letteratura italiana, tedesca e inglese, in particolare di storia asburgica e mitteleuropea. Attualmente si interessa di comunicazione e traduzione.