Padre Patton: “I miei dieci anni come custode di Terra Santa”

Padre Francesco Patton, frate francescano originario dal Trentino, ha ricoperto per quasi un decennio – dal 2016 al 2025 – l’incarico di custode di Terra Santa. Di recente, al termine del suo incarico, è rientrato in Trentino, dove ha partecipato a numerosi incontri per raccontare, dalla sua prospettiva, la straordinaria esperienza con un focus particolare sulla guerra che sta travolgendo l’area, il conflitto tra israeliani e palestinesi.

Una tragedia immane, in continuo peggioramento, con migliaia di vittime civili. All’assenza di tregue e diplomazia, fanno da contraltare solo bombe, occupazione, distruzione e morte.

UNA MISSIONE TRA I LUOGHI SACRI. Da Gerusalemme, Padre Francesco era responsabile della presenza dei cattolici in tutto il territorio, che si estendeva su Israele, Palestina, Siria e gli stati confinanti. Giunse in Terra Santa nove anni fa, proprio in concomitanza con la guerra che travolse la Siria, dove i frati operavano nei conventi di Aleppo e Damasco.

Il suo primo compito fu incontrarli per rendersi conto della situazione in cui svolgevano la loro opera. I frati sono presenti nei Luoghi Santi fin dal 1217, in particolare a Nazareth, Cafarnao, Monte Tabor, Betlemme e Gerusalemme. La loro attività è quella tipicamente pastorale, ma gestiscono anche una scuola aperta a tutti, cristiani e non, concepita come un laboratorio di pace, a testimonianza che la convivenza è possibile.

IL CUSTODE DEI LUOGHI DELLA FEDE. A Gerusalemme, Padre Patton presiedeva le principali celebrazioni religiose, consapevole che i luoghi sacri sono venerati non solo dai cristiani – divisi in diverse confessioni – ma anche da ebrei e musulmani, che da secoli coesistono in quei territori. Un equilibrio delicato, messo a dura prova dai conflitti e dalle divisioni che hanno segnato le tre grandi religioni in ogni epoca.

IL 7 OTTOBRE E L’INIZIO DELLA TRAGEDIA. Il racconto di Padre Patton prende le mosse dall’ultimo capitolo della tragica storia che ha travolto le popolazioni ebraiche e palestinesi: il 7 ottobre 2023, quando Hamas ha attaccato Israele, uccidendo 1.200 civili e militari israeliani e rapendo 250 ostaggi.

In questi due anni si è assistito a un’escalation di ritorsioni da parte dell’esercito israeliano, prima con l’obiettivo di annientare Hamas, l’organizzazione militare palestinese fondamentalista, e poi con lo scopo di evacuare l’intera Striscia di Gaza, abitata da oltre due milioni di palestinesi.

UNA GUERRA SENZA REGOLE. Un genocidio che continuerà ancora per molti mesi e per il quale negli ultimi giorni, forse, sembrano esserci spiragli di speranza. Due milioni di persone che verranno evacuate senza una destinazione, senza uno Stato che le accolga, spinte dalle bombe e dalle distruzioni e senza alcuna speranza.

In questi due anni ci sono stati oltre 60.000 morti tra i palestinesi, soprattutto civili, dei quali 20.000 bambini. Questi dati rappresentano l’immane tragedia che sta devastando la Palestina. Se non si interromperà questa spirale di violenza con un accordo di pace, il futuro rischia di riservare una catastrofe ancora maggiore.

In questa drammatica situazione si trova Padre Gabriel Romanelli, parroco della Chiesa della Sacra Famiglia di Gaza che, come ha dichiarato il Cardinale Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme, non lascerà i territori e continuerà il suo servizio in quella terra martoriata.

LA PARALISI DELLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI. Questa è la situazione, e non serve perdere tempo a discutere, come fanno molti, se questo sia da definire o meno un genocidio.

Una guerra che ha violato tutte le norme internazionali stabilite dopo la seconda guerra mondiale e che ha sancito la paralisi delle istituzioni, a partire dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, a causa della divisione delle principali nazioni con diritto di veto.

Una guerra che ha riportato brutalmente in auge il principio della legge del più forte, senza alcun diritto umanitario da rispettare. Una guerra che si è voluta tenere nascosta, con il divieto ai giornalisti stranieri di entrare nella Striscia di Gaza e con l‘uccisione di oltre 200 giornalisti palestinesi che documentavano l’eccidio in atto.

LE VOCI DELLA PROTESTA. C’è anche chi ha provato a protestare contro la guerra, scendendo nelle piazze delle città in tutto il mondo, anche dalla parte israeliana, come i familiari degli ostaggi che chiedono un accordo per la loro liberazione, ma senza alcun risultato.

In questi giorni sta terminando, con l’intervento dell’esercito israeliano, la spedizione umanitaria alla quale aderiscono delegazioni di 44 paesi, la Global Sumud Flotilla, con l’obiettivo di portare aiuti via mare alla popolazione palestinese.

Ma come spesso accade, anche tale iniziativa è stata il pretesto per accese polemiche a livello politico con l’appello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per trovare una soluzione che permetta la consegna degli aiuti e la sicurezza dei manifestanti.

COMPRENDERE IL DOLORE DELL’ALTRO. Padre Patton indica una sola via per un futuro migliore: comprendere le immense sofferenze di entrambe le parti, facendo proprio il dolore altrui. Purtroppo oggi prevalgono i sentimenti di vendetta e di annientamento reciproco.

Se anche in futuro prevarranno i fondamentalismi religiosi, da entrambi gli schieramenti, non ci sarà mai una soluzione e le tragedie si perpetueranno per molti, molti anni. In Israele, persino l’esercito è più moderato di alcuni partiti politici, perché ha ben chiaro che l’invasione della Striscia di Gaza si sta trasformando in un’ecatombe per tutti.

UNA VIA POLITICA, NON RELIGIOSA. È indispensabile, sostiene Padre Patton, una soluzione politica, che presupponga il riconoscimento dei pieni diritti di ogni individuo, sia israeliano che palestinese. È necessario un accordo tra Israele e l’Autorità Palestinese con un riconoscimento reciproco, un percorso che dovrebbe essere favorito dall’accordo delle maggiori potenze internazionali.

Alla base dovrebbe esserci un lavoro comune di educazione al rispetto, che porti a ricostruire una fiducia reciproca, lasciando da parte le strumentalizzazioni religiose a fini politici. Ma per costruire questo percorso, ammesso che lo si voglia da entrambe le parti, è necessario molto tempo, forse generazioni.

SPERANZE E NUOVE STRADE. Purtroppo, la realtà che dobbiamo registrare in queste settimane va esattamente nella direzione opposta. L’ONU non riesce ad avere una posizione condivisa sul conflitto, bloccando di fatto ogni intervento.

Negli ultimi giorni è arrivata la proposta per un accordo di pace lanciata dagli Stati Uniti, che ha riacceso le speranze. Ma la situazione è molto complessa ed in questo momento si sta attendendo la risposta di Hamas, che speriamo confermi le flebili speranze.

Padre Patton non crede che la soluzione di “due popoli in due Stati” (uno Stato ebraico e uno Stato arabo in Palestina), come stabilito dalla risoluzione dell’ONU del 1947, sia attualmente percorribile.

La soluzione potrebbe essere quella già sperimentata di una confederazione, come avviene in Svizzera, oppure specifici strumenti di autonomia e convivenza, come avviene nella nostra Regione. Ma per iniziare questo percorso è necessario che le armi tacciano e che si inizi a dialogare.

TRA PAPA FRANCESCO E MONTE NEBO. Non può mancare, per Padre Patton, il ricordo vivo dell’incontro con Papa Francesco, che ha alzato più volte la voce per la pace in Terra Santa. C’è stato anche un incontro recente con Papa Leone XIV, di cui ha ricordato il forte appello, fatto appena eletto, per una pace “disarmata e disarmante”.

Padre Patton, dopo il periodo che passerà in Italia, tornerà in Terra Santa, in un convento sul Monte Nebo sopra Gerico, luogo dal quale Mosè vide la Terra Promessa prima di morire. Lì continuerà a promuovere il dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste che hanno in quei luoghi le loro radici.

UN LIBRO PER RACCONTARE UN PELLEGRINAGGIO DI FEDE. L’esperienza di Padre Patton è stata riassunta in un libro, “Come un pellegrinaggio – I miei giorni in Terra Santa (T.S. Edizioni, Milano), dove Roberto Cetera, in una toccante intervista, descrive uno spaccato della multiforme e tragica realtà mediorientale.

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