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Foto 2010
OUTOPSYA – uscito il nuovo cd “SUM” |
Scritto da Alessandro Togni |
Mercoledì 10 Marzo 2010 09:31 |
Sguardi sulla musica della band di Rovereto
L’album è nella sua logica di composizione un modello di rappresentazione, un “concept”, pure se in realtà le otto canzoni che lo compongono non sono propriamente scritte e considerate a questo scopo. Una sequenza quasi “tirannica” quella proposta dagli Outopsya: attraverso una precisa “unitarietà stilistica” si assiste alla più determinata, statuaria, quasi marziale evoluzione di un album molto condensato e solido. Uno spazio uniforme allagato dalle tonalità dell’oscuro, seguendo le inclinazioni di un simbolismo assai prossimo a divenire filosofia della negazione romantica, dove solo raramente si scorgono schegge di luminosità classica, per una costante e davvero lodevole descrizione delle interiorità. “SUM” possiede anche una ulteriore facoltà, ed è quella di riuscire a tradurre le inquietudini e le insanie della mente, senza per questo divenire un disco allarmante. Anzi! Appare invece come il catalogo delle possibili deformità la cui descrizione consente un primo passo verso la scrutazione, per la riabilitazione. E’ un disco che affonda le sue radici nella psicologia ma anche in termini più strettamente musicali un forbito insieme di esperienze creative ad iniziare dalla intro di “Lords Of Hate” (7,5) spregiudicatamente rumoristica in cui sequenze e frequenze radio si sormontano trasformandosi nel più raggelante sibilo di serpente, prima di lasciare campo ad una tambureggiante cavalcata foriera di materia elettronica. Una scelta quella di aprire con la tensione del rumore quasi a voler definire alcune delle matrici alla quale l’intero lavoro sembra affidarsi: le ricerche della musica colta con le invenzioni ‘cageiane’ per una musica per la musica, priva di composizione; oppure anche la volontà di restituire significato al rumore, immaginandolo come elemento di rappresentazione di un territorio indistinto da cui si sta partendo… Ed il viaggio, quindi, dalla brulicante materia prende avvio per, chissà, raggiungere l’antimateria dell’anima: frastuoni cadenzati e vocalità antiche, visioni dionisiache rimangono sospese come stessimo attraversando da parte a parte il buio, camminando sopra un filo teso nel vuoto. La musica a tratti motoristica viene segnata ed accompagnata con stridori acuti capaci di sollevare dagli abissi. Suoni più propriamente attribuibili alle modalità dell’elettronica prima maniera, quando minimalità, ripetitività e staticità, servivano a tradurre le vastità degli universi, fossero questi materiali o immaginari. “Mothal” (7) si muove con maggiore definizione mantenendo intatta la formula e i parametri della densità. La propulsione del suono si mantiene elevata ed ora gli spazi che vediamo sono più vasti, anche sostenuti da accumuli corali capaci di aprire feritoie nella coltre del buio. Siamo tuttavia ancora dentro il manifestarsi di una celebrazione pagana, dove adepti e streghe si muovono colpiti da scariche di energia cosmica. Solo un paio di volte, all’inizio e alla fine, lo sconvolgimento emozionale appare anche in forma di rumore, quando una sorta di conato viene aggiunto per rendere ancora più teatrale questo momento dai rimandi medievali. Un vortice di suono sembra inghiottire l’intera scena mentre lentamente si spegne in dissolvenza. Il sentiero concettuale di “SUM” sembra trovare possibilità di districarsi per una più alta comprensione proprio quando si apre la traccia numero 3, ovvero la versione “contraddittoria” del significato stesso dell’intero album: “Mus” (7) è il brano più di sintesi ed il più breve in estensione temporale, oltre ad essere quello più vicino, quasi come fosse un omaggio, alle intenzioni espresse durante i primi Anni ’70, proprio dalle tendenze “progressive” in particolare quelle italiane. Anche il cantato è in lingua nazionale e certo questo elemento di innovazione nell’album suona inaspettato. Tuttavia il testo si muove verosimilmente più per proprietà fonetiche intrinseche, per contributo di assonanza o contrasto o complementarietà, così dichiara il suo autore Luca Vianini, piuttosto che per poetiche o significazioni, divenendo anch’esso esclusiva materia sonora. La quarta traccia si chiama “Don’t Mind” (9) ed apre con un tappeto sonoro quasi mistico. Un rumore di fondo, universale e lontano viene raggiunto prima dallo scintillio di un campanello, poi da terrestri percussioni ed infine dalle propaggini di una musica definita - anche se ondeggiante come i fumi dell’incenso mentre salgono dal braciere al centro della cattedrale gotica… Perché di gotico si tratta, con qualche verosimiglianza orientale. Nel mezzo della narrazione, nel momento magico dove con la voce Ylenia Zenatti raggiunge il vertice di una bellezza tentacolare da estasi. La storia degli abissi ora diviene leggenda attraverso una recitazione cadenzata, dove affiora il riverbero di emozioni e fantasie languide, al limite della decadenza e dell’abbandono mortale. Struggente gioiello di melanchonia “Don’t Mind” profuma di fiori secchi, ricorda la fissità negli occhi degli uccelli, lascia rivivere le ombre gelide degli spiriti del passato. Ed il viaggio prosegue con “Tarred Life” (7,5), come a voler superare i rimpianti riemersi, dove uno strame di forza sembra coalizzare per sconfiggere attraverso la rabbia. Tambureggiante e propulsiva, trova pace solo a tratti con sospensioni nel silenzio. Qui la voce seguendo la traccia di una musica vischiosa, diviene materia artificiale, suono ibrido, androide. Appare l’anticipazione di “Mechanical 7” (7) in cui le pulsioni e le bolle di suono staccano da una vocalità dalle distorsioni robotiche, rimando alle dinamiche dell’antico vocoder di ‘moogiana’ memoria. Approssimandosi il finale anche con cambi di tonalità e con l’uso quasi giocoso delle tastiere si introduce un motivo da antica favola, un balocco pianistico capace di suscitare momenti di apprensione. La settima traccia riprende con maestosa epicità strumentale dentro una intro abitata da ampie vocalità e da stratagemmi sonori prossimi al rumore in grado di disporre per una realtà sconosciuta. “Sandness” (8,5) possiede un andamento drammaturgico, pieno di sussurri e attraversamenti materici, presenze innaturali e cosmiche, venti e bufere mentre dilatano gli orizzonti. L’insieme musicale riconsegna turbamenti e vastità in attesa di apertura dell’atto finale. Sono strati di suono, sovrapposizioni all’unisono di voci e bombardamenti acustici che muovono verso la superficie, alla ricerca delle fessure per raggiungere la luce, là fuori. E quindi in uno spasmo allegorico ecco la magnifica “Sum”, (8,5) dove quasi si stesse riavvolgendo il tempo e lo spazio in formula accelerata riassorbiamo tutte le entità presenti in “SUM”. L’andamento rumoristico diviene apoteosi, scarica elettrica e rivitalizzazione, il momento sonoro inteso propriamente come “summa” e assunzione totalizzante delle esperienze ultra ed extrasensoriali. Questo è “SUM”, ovvero un viaggio ai confini della conoscenza! Buon futuro a voi e alla vostra arte. |